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12 dicembre 2011 - Via S. Martino, Nova Milanese con Paolo Armenise.











Parlare con Paolo è sempre un’esperienza che mi devasta, mi scompone in piccoli pezzi, e poi m’illumina.
Una volta T. lo ha definito il “Dr House degli architetti” e penso che sia assolutamente azzeccato, perché con lui non possono esistere vie di mezzo, o lo ami o lo odi. E io lo amo, profondamente.
Ultimamente ci vediamo spesso, viene per cena e poi si ferma a dormire qui, il che si traduce nel parlare in modo compulsivo fino a notte inoltrata.
Paolo è il classico esempio di una persona entrata “per caso” nella mia vita, anni fa, con la quale è stato evidente da subito lo stesso percorso, gli stessi passi.
Io e lui, è indubbio, ci siamo “trovati”.
Da allora abbiamo condiviso un po’ tutto; lavoro, passioni, amicizia, felicità e dolore.
Lui è una di quelle persone che semplicemente so che c’è, sempre.
E non smetterò mai di ringraziarlo per questo.
Appena è entrato in casa ci siamo abbracciati, forte, e poi gli ho chiesto “Sei pronto? Stasera ti demolisco!”.
E come spesso accade, lui ha demolito me.
Stanotte non ho dormito e adesso, in questo momento, sto cercando di raccogliere i pensieri di quello che è stato un viaggio dentro la visione di un’altra persona. La visione di me, attraverso i suoi occhi, attraverso un’altra prospettiva.
Ecco perché questo è un passo a ritroso, nel tentativo di comprendere quello che c’è, il senso che mi è rimasto, dopo ieri sera.
Ieri sera abbiamo parlato del “+”, ovvero di quello che io definisco l’essenza della mia vita in questo momento: la condivisione.
Gli ho raccontato dell’amore e della pace che ho trovato in me e di come l’esternarlo a voce e a parole abbia attirato altro amore e altra pace intorno a me… gli ho raccontato del potere del condividere, di tutte le persone che sono arrivate sui miei passi e di come questo “sharing” di pensieri abbia, almeno per me, dato un significato totalmente diverso al senso di vivere… poi abbiamo parlato delle persone che fanno parte della mia vita da tempo, dei miei fantastici e irrinunciabili amici, tutti esseri umani dotati di una generosità d’animo (e di pazienza) al di fuori del comune, straordinari.
Loro sono, da tempo, la mia famiglia… mi basta pensarlo per scoppiare a piangere, ma non m’importa trattenere le lacrime, perché finalmente adesso so perché.
In questo momento, sono consapevole che sono diventata una persona profondamente diversa perché, in realtà, ho capito di essere sempre stata un -.
Forse, per le persone che mi conoscono da anni questo è evidente, non lo so.

Io ci sono arrivata solo adesso.

Mi sono sempre sentita sola, almeno da un certo punto della vita in poi.
E questo non ha nulla a che vedere con l’essere amata o con il numero delle persone che mi sono vicine, perché mentirei se non ammettessi che pochi hanno ricevuto tanto amore quanto ne ho ricevuto io.
Il fatto è che ero io la prima a non amare me.
Quello di cui sto parlando non c’entra con l’amore degli altri, ha a che fare con il bisogno di amare se stessi. Ed è tutta un’altra storia. 
Perché, come spesso accade, quello che ci manca lo cerchiamo al di fuori di noi…
Il mio bisogno di essere amata, che confermasse l’amore per me stessa, ha invaso ogni mia scelta, e mi ha spinta alla compensazione.
Perché, si sa, non possiamo certo pretendere dagli altri qualcosa che non possediamo per primi.
E così, lo specchio della mia vita, tutta l’indipendenza costruita, le persone che ne fanno parte, hanno definito i contorni di un’immagine di me che corrisponde, in apparenza, a quella di qualcuno che, per paradosso, non ha bisogno di niente e di nessuno.
In questo momento, i piedi sul senso della vera condivisione, è quasi buffo pensare che una delle definizioni che gli altri usano per descrivermi è che sono “forte”, una che sopravvive e reagisce, a tutto.
Nel vedermi da fuori, do l’impressione di essere una persona che si basta, che se la sa cavare da sola, comunque sia. 

Ebbene, niente di più falso. 

Anche il mio dolore per la perdita di una delle persone che ho amato di più in vita mia, ne è una conferma.
Non a caso, dentro di me, la cosa più difficile da accettare è stata proprio il fatto che se sentivo di aver amato lui più di ogni altra cosa, com’era possibile che se ne fosse andato?
Forse perché quello che gli ho trasmesso, lo specchio del mio essere, è stato che non avevo realmente bisogno di lui. Io sembravo bastarmi, comunque sia.

Ebbene, niente di più falso.

In questo momento, i piedi sul senso della vera condivisione, mi rendo conto che l’ho amato così tanto perché è una persona fantastica, ha reso la mia vita migliore e il dolore che provo quando penso a lui è qualcosa che mi rende fragile e non c’è modo di essere altrimenti.
E nello stesso modo so che il dolore passerà e che l’amore che c’è adesso nella mia vita, tutta questa pace che illumina i miei passi, nasce proprio dal fatto che ho imparato ad accettarlo, amare me per prima, con tutte le mie insicurezze, dolori, paure e entusiasmo per la vita e poi, nel coraggio di condividerlo con altre persone. 
Io sono un -, che nella condivisione di tutto questo diventa un +. 
Grazie Paolo.



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