59.

31 gennaio 2012 – Corso di Porta Ticinese, Milano.









In questo momento, i piedi in equilibrio su un senso, mi chiedo che effetto fa conoscere il futuro di qualcuno.
Sapere che domattina, senza preavviso, alcune persone si sentiranno abbandonate, tradite, arrabbiate, vulnerabili, spaventate.
Per quanto assurdo possa sembrare, è così.
Me l’hanno raccontato oggi, su Skype.
Un amico, domattina dovrà comunicare a 10 persone dell’azienda per la quale lavora, che dal quel momento non hanno più un lavoro.
Tutti i benefit ai quali si erano abituati, che hanno fatto da sfondo al loro vivere quotidiano, come auto, computer, cellulare e un ruolo da dirigente nel quale avevano finito per riconoscersi, dal quel momento non esistono più.
Passato.
Ma prima che accada tutto questo, noi sappiamo che tra qualche ora la vita di queste persone cambierà drasticamente.
Che effetto fa?
Un grandissimo dispiacere per quelle 10 persone e le loro famiglie.
E' triste, saperlo e rendersi conto che non c'è niente che si possa fare. 
E un grandissimo dispiacere per il mio amico, che seppure continua a ripetersi che così ne salva 100, ha il cuore in gola per quei 10.
In questo momento, prima che tutto accada, penso che c'è solo da sperare, che possano trovare amore nelle persone che gli sono vicine e vedere così nel loro presente un’opportunità.
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58.

24 gennaio 2012 – Parco delle Basiliche, Milano.








In questo momento, i piedi in bilico sui raggi di un sole che mi sussurra primavera, mi fermo, in cerca di equilibrio.
Senza motivo apparente, per caso, mi torna alla mente una frase della madre di un’amica, pronunciata tempo fa: “L’equilibrio non è qualcosa che acquisisci per sempre. Lo devi ricercare ogni giorno”.
Ecco, lo capisco adesso.
Questo passo era nell’aria, da giorni… continuavo a inseguirlo come un soffio di malessere che non riuscivo a identificare con chiarezza, a capire esattamente da dove provenisse, anche se potevo sentire la sua presenza con una precisione pungente.
Fino a quando, ieri sera, ho sentito i miei passi barcollare, senza afferrarne il senso. E ho pianto.
Un attimo improvviso che mi ha vinta, così, spinto fuori da qualche parte, dentro di me.
Ieri sono tornata a casa tardi, dopo un tour fuori AreaC durato 48 ore.
Prima tappa Bologna. Una città dove ho vissuto per anni e dalla quale sono scappata, anni fa. Ci sono tornata per un saluto a tante persone care e per una cena con gli amici di una vita, mille racconti e il benessere assoluto dato dalla confidenza di poter essere complici.
Presente, una piccola mancanza alla quale non riuscivo ancora a dare un nome.
Nel mentre, un post di Paolo Stella che mi toglie, come spesso accade, le parole dalla testa.
Il giorno dopo, destinazione Ferrara. Un viaggio lento, dove il rincorrersi dei campi della pianura mi ha inebriato la vista con decine e decine di aironi lucenti, affusolate scintille nella nebbia, mentre cantavo una vecchia canzone a squarciagola, guidando piano. E ancora Ferrara, dove un impegno di lavoro si è trasformato in un’esperienza umana del tutto commuovente.
Presente, una piccola mancanza alla quale non riuscivo ancora a dare un nome.
Nel tardo pomeriggio sono tornata a Bologna, lasciata l’auto e corsa a prendere l’ultimo treno rapido per Milano.
E mentre il mio corpo si abbandonava al dondolio dell’alta velocità, ho alzato lo sguardo per osservare attorno a me e, come per magia, ho visto solo un binario del treno pieno di persone spaventate, in cerca di qualcuno che le potesse amare. Proprio come me.
Qualcuno così coraggioso da vincere le proprie, di paure, così audace da comprendere le nostre e a tal punto temerario da volerci amare con tutti i nostri difetti… questo è ciò che chiediamo agli altri, senza nemmeno esserne coscienti. Lo pretendiamo, di continuo.
Ecco, cos’ho visto su quel treno.
E quando, una volta arrivata a Milano, sono entrata in casa e ho chiuso la porta dietro di me, ho sentito solo quella piccola mancanza alla quale non sono riuscita a dare un nome.
Fino a questo momento.
Adesso so con certezza che la madre della mia amica aveva ragione.
Perché in questo momento, ho ritrovato il mio equilibrio.
E posso dire che, in questo caso, è stata davvero un’impresa titanica, soprattutto quando ho capito cos’era quella piccola mancanza compagna di viaggio che mi aveva seguita fino a casa.
Era una frase di Jack, di qualche giorno fa.
“Ognuno di noi sceglie la sua velocità. Io posso rallentare un po’ il passo per aspettare qualcuno che arranca, ma se non c’è la volontà di procedere allo stesso ritmo, io ritorno a correre. Perché io non ho tempo, non ho più tempo”.
Nessuno ce l’ha. Anche se nessuno sembra ricordarsene.

Però, mi ricordo che in un punto passato di questo cammino ho fatto una scelta.
Liberarmi delle mie paure semplicemente accettandomi per quella che sono e tenere il cuore aperto.
Tra i miei pensieri, ho scelto di seguire la mia velocità.
Semplicemente perché è l’unico modo che conosco per condividere l’amore per me stessa con gli altri. 
Non esiste altra via, per me.
E anche perché è l’unico modo per perdonarmi, se ammetto con me stessa che non riesco ad aspettare il passo di qualcuno che non vuole camminare.
Chiedo scusa e mi perdono, ma non ho tempo, non ho più tempo.
Nessuno ce l’ha.
In questo momento, i piedi in bilico sui raggi di un sole che mi sussurra primavera, mi fermo ad ascoltare il mio cuore. 
E' aperto e io sono di nuovo in equilibrio.

Grazie Jack.
Grazie Paolo Stella. 
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57.

20 gennaio 2012 – U BARBA, Milano – con Ica Montaguti, Fugen Keracerci, Andreino e Giacomo Godi.











In questo momento, scrivo, di quello che è stato.

Faccio un passo indietro, nel passato, per recuperare la consapevolezza che nel momento esatto in cui ho fermato l’immagine di quei passi - condivisi con un gruppo di amici sulla sabbia di una bocciofila irradiata di luce e delimitata da una fila di ulivi annodati dagli anni, nel dehor di un ristorante di Milano -, ho iniziato a capire qualcosa che vale la pena ricordare. 
Anche adesso. 
Vale la pena tenere a mente che quello che è stato riguarda un passo complicato, dove ho puntato i piedi per rimanere in equilibrio, mentre i miei pensieri si libravano in voli pindarici.
In questo momento, mentre scrivo, so che in quel momento ero in cerca di equilibrio.
Avevo bisogno di risposte, che non riuscivo a bilanciare dentro di me.
E così sono uscita, incurante del fatto che quando chiedi, ti viene dato.
Distratta e felice di ritrovarmi in macchina con Ica per raggiungere il ristorante, felice di passare un po’ di tempo con lei, e poi seduta a un lungo tavolo di legno, mangiando genovese e ridendo, di gusto, di nuovo distratta e felice di cenare con amici che non vedevo da tempo, mentre ascolto Fugen parlarmi del potere del pensiero e dell’importanza del qui, ora.
E io, seduta lì, che provo a rimanere presente, un attimo prima che un pensiero mi porti altrove.
Presente, a godere del momento, del cibo, del vino, della compagnia di amici. 
Del sentire, di poter ringraziare.
Per l’amore che sento.
Per un attimo di presente.
E poi, quasi senza accorgermene, mentre le parole si affievoliscono in suoni, mentre sfuma il sapore del vino e del cibo, mi riscopro nuovamente altrove. 
In un attimo.
Seduta lì, ho capito che non è per niente semplice rimanere concentrati sul presente. Non lo è affatto, anche quando pensiamo di esserne capaci.
In passato mi è sembrato quasi banale, istintivo, solo perché riuscivo a gioire di uno stato di benessere e non volevo lasciarlo andare. 
Lo ancoravo ai pensieri, alla memoria, come una risorsa di energia positiva da tenere a portata di mente, alla quale attingere nei momenti di necessità.
Ma stasera avevo bisogno di risposte, non di un’energia di scorta.
Perciò sono tornata presente, concentrata su di lei, mentre mi parlava di uno stato dell’essere, di un amore universale.
Che si basta.
E d’istinto ho provato ammirazione per questa donna che ha gli occhi in pace e l’ispirazione necessaria per provare a descrivermi qualcosa che è, per sua natura, indescrivibile.
Tanto che ho provato a immaginare (di più non mi è possibile), uno stato della mente così illuminato e grato da trovare il senso di tutto dentro di sé e poterlo donare al mondo, in modo incondizionato. 
A tutte le persone che sentono dentro di sé questo genere di amore va tutta la mia ammirazione, ma sebbene possa accettarne l’esistenza, il fine e l’effetto, ho capito che non è uno stato al quale m'interessa aspirare. 
Almeno non adesso.
Per il momento, per ciò che riguarda il mio presente, voglio sentire ancora di aver bisogno degli altri.
Mi piace pensare che attraverso il contatto con le altre persone possiamo evolvere, e trovare le risposte che ci mancano.
Gli altri, quelli che entrano nel nostro cuore per condividere amore e quelli che ci passano attraverso per poi uscirne, dandoci l’occasione d’imparare a fare un passo.
In questo momento, voglio trattenere l’immagine di quei passi - condivisi con un gruppo di amici sulla sabbia di una bocciofila irradiata di luce e delimitata da una fila di ulivi annodati dagli anni -, perché so che in quel momento ho trovato le risposte che cercavo.
Ho capito che vivere nel presente è fondamentale, ma più difficile di quello che sembra, e che l’amore che sento è seme e frutto di un albero che può nascere solo nello spazio che scegliamo di condividere. Che è lo spazio tra noi.
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56.

17 gennaio 2012 - casa, Milano – con T.R.








In questo momento, i piedi sulla fine di una cena che è già notte, penso che stasera ho conosciuto Tommy.
Quest’uomo che mi parla di tutto, di più, e mi guarda e sente che non ho cambiato idea.
Penso che potremmo essere felici insieme, di più.
Stasera è entrato in casa T.R. e mi ha abbracciata Tommy, uscendo.
Per la prima volta.
Quest’uomo, capace di portarmi altrove con il pensiero e lasciarmi lì, a vedere che succede.
Quest’uomo che mi paralizza, ascoltando il cuore battere.
Quest’uomo che mi lascia sul tavolo il disegno di un uomo con i piedi sul mondo, a testa in giù.
E a testa in su io ci sono da sempre.
Quest’uomo che mi descrive i dettagli di una scena che riesco a vedere, ma non ho mai visto.
Che sa, perché lo sente, che non rinuncerò a niente, di ciò che è possibile.
Quest’uomo che mi ascolta, mentre gli racconto che il bene è una scelta, per noi stessi e per gli altri. Segue il filo, fino a quando un pensiero non lo rapisce e se lo porta via.
Quest’uomo annoiato, che tutto è già stato, ma ancora non sa che l’amore è l’unica cosa che conta.
In questo momento, i piedi sulla fine di una cena che è già notte, penso a quest’uomo camaleontico, che m’interrompe un momento, mi guarda e dice: “ …e va bene, qui il cuore ce lo metto”.
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55.


11 gennaio 2012 - casa, Milano – con Paolo Stella, Serse, Jack, Ludovica, Andrea e T.R.





In questo momento, mentre fermo il passo in questa stella di piedi a 7 punte, capisco davvero quanto sia determinante l’essere consapevoli che un incontro ha il potere di cambiare radicalmente la nostra vita, e così il nostro sentire.
E’ una questione di opportunità, che non ha nulla a che vedere con il caso.
La psicologia sostiene che quando incontriamo qualcuno per la prima volta, la nostra opinione a riguardo si forma nei primi 7 secondi.
Effettivamente, ho sempre provato un certo fascino per la prima impressione, quei 7 secondi assoluti che sembrano determinare il nostro atteggiamento futuro verso un’altra persona, ma adesso, ora che questi perfetti sconosciuti sono diventati parte integrante del mio sentire, ho l’assoluta certezza che quei 7 secondi ci offrono un’occasione unica per cambiare tutto il nostro essere.
Mi sembra incredibile anche solo pensare che appena quattro mesi fa non ero in grado di percepirlo.
Così, non posso fare a meno di provare emozione ogni volta che vedo Paolo Stella muoversi in questa casa come se la conoscesse da sempre. Penso allo spazio tra noi, ogni volta che implode con tutto il nostro sentire, al nostro starcene sul divano cercando di dare senso a un pensiero, alle lacrime che non vogliamo più trattenere, ma che riusciamo ad asciugare con un sorriso.
Grazie a lui ho imparato che Roma, Milano o qualsiasi altra parte del mondo non fa differenza, perché esiste comunque uno spazio dove i nostri pensieri s’incontrano, sempre.
E mentre me ne sto in piedi a osservarlo in mezzo agli altri, mentre la sua capacità d’amare non smette un attimo di commuovermi, sento cingermi in un abbraccio che racchiude tutto: Jack.
Con lui, in passato ne ho avuti un’infinità, di 7 secondi.
Tempi brevi, una stretta di mano e via.
Sembra assurdo, ma eravamo così fagocitati e resi distratti dai nostri rispettivi ruoli, che abbiamo ignorato tutto questo, per anni.
Poi, per quelle opportunità della vita che qualcuno chiama caso, abbiamo scelto di guardare oltre e ci siamo incontrati davvero, per la prima volta.
Da allora, ogni volta che mi abbraccia, ogni volta che lo ascolto, ogni volta che mi scrive “+”, è come se mi offrisse la possibilità di attingere da una fonte di amore infinita, che mi sembra di non riuscire mai a ricambiare abbastanza.
Il suo entusiasmo nel proteggere un sentimento riempie di magia ogni istante, nell’assoluta certezza che lui è presente, c’è, sempre.
Ma più di tutti, mi commuove Ludovica.
Anche con lei, negli anni, abbiamo condiviso innumerevoli 7 secondi di assoluta indifferenza.
Questa donna che è arrivata qui a piccoli passi, guardandosi alle spalle, che spesso si limita a osservare senza intervenire e che stasera mi ha dato un abbraccio immenso, mi ha fatto il più grande dei regali: la consapevolezza che un silenzio può contenere le nostre emozioni al pari di mille parole, ma quando ci assumiamo il rischio di esprimerlo, di condividerlo con un’altra persona, si può gioire di un’emozione che si radica nella nostra coscienza.
In questo stesso spazio riconosco Serse, con la sua timidezza silenziosa che lentamente prende voce per raccontarti di sé e lasciarti senza parole. Un sorriso che parte dagli occhi per imprimersi sulle labbra, in grado di farti sentire d’istinto che sei pronto a fidarti.
Andrea, che sono bastati meno di 7 secondi per trasformare una stretta di mano in un abbraccio e per sentire che l’ironia parte sempre dal profondo.
E poi c’è T.R.
Quest’uomo in bilico.
Che non lascia parlare nessuno ma è così attento da ricordarsi in un attimo i nomi di tutti, che entra in casa con la bici in spalla, sorride e mi abbraccia sollevando i miei piedi da terra. Quest’uomo che ha vissuto così tante vite da non sapere più riconoscere la sua.
E vaga.
Senza rendersi conto che è fortunato, perché ha avuto la possibilità di vivere tante vite e ora può scegliere la sua.
In questo momento, mentre fermo il passo in questa stella di piedi a 7 punte, ringrazio quei 7 secondi che hanno portato queste persone straordinarie sul mio cammino.
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54.

8 gennaio 2012 - Navigli, Milano.








In questo momento, in questo punto, freno la bici, scendo e mi fermo.
I piedi in mezzo a questo avvertimento delineato sull’asfalto, baciato da un sole che imprime le ombre, mentre qualche auto mi sorpassa evitando d’investirmi, arresto il passo per ascoltare quello che sento.
Me ne sto immobile al centro di una sagoma che pedala a terra, in mezzo a una strada, come fossimo due che corrono, intralciando il traffico, da fermi.
E mentre tutto intorno a me continua ad avanzare, correre e pedalare, mi fermo a rincorrere il movimento dei miei pensieri.
E sento che non c’è più dolore dentro di me, non più.
Al suo posto riconosco soltanto questa voglia di abbracciare l’essenza di quello che sento, talmente intensa da non riuscire più a fermarmi.
Da questo punto in poi, scelgo di vivere nella consapevolezza che la vita non si limita a nascere, sopravvivere e morire.
C’è dell’altro, nello spazio tra noi, nel cuore di tutti noi.
Che può renderci felici e farci sentire davvero vivi.
Che spesso rimane lì, immobile e pietrificato.
Incapace di evolvere dal dolore che provochiamo a noi stessi, ogni volta che non lo riconosciamo, che ci limitiamo a incolpare gli altri per le nostre sofferenze, ogni volta che non ci ascoltiamo.
Rimaniamo lì, immobili e pietrificati, aspettando che qualcuno arrivi con la voglia di salvarci dalle nostre paure e ci confermi di valere qualcosa, di più, senza renderci conto che in questo modo diamo agli altri il potere della nostra felicità, e non meno del nostro dolore.
E se trovassimo in noi questo valore, per condividerlo con gli altri?
E se provassimo a concentrare l’attenzione sul bene delle altre persone?
A preoccuparci di rassicurarle, di non ferirle?
A fidarci.
A pensare che ogni individuo che sfiora i nostri passi non è una minaccia ma un’opportunità, per guardarci dentro senza difese.
In questo momento, in questo punto, mentre tutto intorno a me continua ad avanzare, correre e pedalare, mi fermo e scelgo di aprire il mio cuore.
Per me, per tutte le persone che riempiono di magia la mia vita e per tutte quelle che incontrerò in futuro sui miei passi e che avranno voglia di condividere le proprie emozioni.
E non importa se in quest’apertura può entrarci di tutto.
Quello che conta, ciò che è essenziale, è fare una scelta, un passo, affinché dal proprio cuore possa uscire soltanto l’amore che c’è.
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53.


4 gennaio 2012 - Corralejo, Fuerteventura, Canarie - con Yuri Simonini.






In questo momento, i piedi sul pavimento di questa casa che mi ha ospitata per un tratto di tempo sospeso, ringrazio l'introverso Yuri per tutte le cose che abbiamo condiviso in questi giorni e per aver scelto, tra tutte quelle che poteva scegliere, questa canzone.
Come si dice, per caso.
Per caso, mentre dalla finestra arriva il suono del vento e dell’infrangersi delle onde, mi dice “ascolta questa” e io l’ascolto, lascio entrare dentro di me ogni nota, e sento.
Sento di non avere parole per ringraziarlo della dolcezza con la quale l’ha fatta ripartire infinite volte, rimanendo in silenzio, in modo che potessi seguire la melodia dei miei pensieri e scrivere questo passo.
Non è questa magia?
Con i piedi su quest’isola dove ho condiviso tempo, spazio e pensieri con tante persone fantastiche, l’ultima sera da passare su quest’accumulo di pietre nere abbracciate dalle onde dell’oceano, plasmate da un vento che appartiene a ogni dove e che mi attraversa tentandomi a restare, lascio che le note di questa musica diano ritmo al mio cuore.
E come per incanto dalla memoria riaffiora un ricordo di anni fa, un cd registrato per mia nonna con questa canzone e lei che mi ringrazia, dicendo che questa musica le mette il buonumore.
Mia nonna, la persona che mi ha sempre insegnato che l’amore vince su tutto, e che lo ripete anche adesso che la persona che continua ad amare non è più visibile al suo fianco, ma è presente comunque, perché ha imparato a riconoscere quello stesso amore dentro di sé.
In questo momento, i piedi su questo incontro di pensieri che illumina il passo, sono consapevole che tenere il cuore aperto è un rischio, perché può entrare di tutto.
E so anche che in quest'apertura può trovare un varco un dolore che toglie il fiato e spezza il cuore, perché le persone che possono ferirci esistono.
Ma so anche che se scegliamo di rimanere concentrati sul bene, se smettiamo di usare gli altri per sentire e cominciamo a sentire dentro di noi, per condividerlo con gli altri, abbiamo l’opportunità di far entrare nella nostra vita delle persone straordinarie e con loro, tutto l’amore che c’è.
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52.

31 dicembre 2011 – 1 gennaio 2012 - Corralejo, Fuerteventura, Canarie.







In questo momento, i piedi su questi ultimi minuti del 2011, provo a scorrere nella mente tutte le immagini che compongono questo anno in congedo, fino a perdermi in un labirinto infinito di emozioni, apparentemente contrastanti ma, al contrario, collegate tra loro da un filo sottilissimo, quasi trasparente, che alla fine di questo ultimo anno ho imparato a riconoscere.
Un filo di emozioni all’ennesima potenza, reso evidente dai passi di un cammino che ha cambiato la mia direzione, deviandola, fino a qui.
Questo è stato un anno che ne è valsa una vita.
E’ stato intenso, immenso, inaspettato.
Questo anno mi ha dato l’opportunità di fare esperimenti con la mia vita, e trovare un senso diverso alla vita stessa.
Un senso evidente, davanti agli occhi di tutti noi, da sempre.
Eppure, così difficile da riconoscere, dentro di noi.
Durante questo lungo 2011 ho amato e mi sono sentita amata, come mai prima.
Fino a quando, il 7 settembre 2011, questa persona ha deciso di uscire per sempre dalla mia vita.
Così.
Come uno che, semplicemente, cambia idea.
In quel momento preciso, il suo cambiare idea ha cambiato tutta la mia vita.
E ho iniziato a guardarmi dentro, come mai prima.
Ho lasciato che la mia mente fosse libera di chiedere, senza paura di rispondere.
Lentamente, non so come, ho trovato il coraggio di ascoltarmi.


E lì, ho iniziato a imparare.


Ho imparato che esiste un dolore che toglie il fiato e spezza il cuore.
Ho imparato che se troviamo il coraggio di accettare che dal dolore possiamo imparare qualcosa di fondamentale, non saremo mai soli.
Ho imparato che quando ti sembra di non provare più niente, hai l’opportunità di sentire tutto.
Ho imparato che tenere il cuore aperto è molto più emozionante che difendersi dagli altri.
Ho imparato che rimanendo concentrati sul bene che c’è dentro di noi si attira solo altro bene.
Ho imparato che ho davvero degli amici meravigliosi, persone dotate di una capacità d’amare commovente. So di essere una persona migliore anche grazie a loro.
Ho imparato che cercando di andare oltre nella comprensione di un’altro essere umano, si possono scoprire persone fantastiche che riempiono di magia la nostra vita.
Paolo Stella e Jack sono alcune di queste.
Ho imparato che siamo tutti esseri liberi di scegliere la nostra strada e ognuno la propria.
E che non c’è modo d’imporre una direzione a nessuno.


Ma ho anche imparato che quando due strade liberamente s’incontrano, inizia un viaggio nella magia, che ti cambia la vita.
Liberi di sentire mancanza per un uomo appena conosciuto, solo perché questo è quello che sentiamo.
E perché se è sulla strada giusta capirà.
Liberi di essere liberi.
In questo momento, i piedi sulla mezzanotte del 2011, in un insieme di piedi fantastici, ringrazio quest’anno appena passato e faccio un passo nel 2012.
Ridendo.


Buon Anno Capo, il migliore di tutti.
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