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8 dicembre 2011 - Ka-kao, Milano





In questo momento, i piedi fermi sul pavimento iridescente di questo ristorante giapponese, mentre confesso a un amico che mi sembra di essere dentro a un film di Tarantino, guardo di fronte a me... e nello specchio vedo la ragazza giapponese che ci ha accolti all’ingresso farsi sempre più minuscola nella sua minutezza mentre arriva silenziosamente alle spalle del cuoco più anziano, il corpo vicino senza contatto, unito nella compostezza, le mani appoggiate lungo i fianchi, e poi una sopra all’altra sul davanti della divisa, la testa eretta e lo sguardo dritto davanti a sé, sussurrare qualcosa all’orecchio dell’uomo e poi abbassare il capo, in attesa di risposta. 
Guardo questa scena assurda davanti ai miei occhi, io con i piedi cementati al suolo e lo sguardo nello specchio, e non posso fare a meno di chiedermi come può una persona, un essere umano, fare questo a se stesso? 
Ho sempre pensato di essere fortunata, e in un certo qual modo sono assolutamente consapevole e grata di esserlo, ma nello stesso modo mi chiedo quale cultura, società, tradizione, affetto mancato, può essere la causa di una tale sottomissione ad un altro essere umano? 
Si possono educare le persone alla rinuncia? 
Personalmente, posso concepire che l’uomo possa sottomettersi alla fame e alla sopravvivenza di se stesso, ma non potrò mai capire che posto viene concesso alla felicità, da persone così. 
So che sono una persona fortunata, sotto tantissimi aspetti, ma in questo momento, i piedi cementati e lo sguardo nello specchio, so anche che, nella vita, l’essere vivi rimane sempre una scelta.

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