72.

7 marzo 2012 – casa, Milano.









In questo momento, i piedi su questa doppia visione di me stessa, penso che non ho più voglia di essere un uomo.
So che non è facile uscire dai propri panni, ma mi piace pensare di riuscire a riconoscere il mio limite, fare un passo indietro e cambiare direzione andando avanti.
E’ piuttosto incisivo che, grazie alla “mente lineare” di un uomo come il Cookie, alcuni amici mi chiamino “Ometta”; una sorta di pasticcio condito d’ironia tra il nome della via in cui abito e un lato prepotente del mio carattere, senza tralasciare il “fratello biondo” che gli sento dire ogni tanto quando parla di me con altri.
In realtà non ho fratelli, ma è vero, sono cresciuta tra uomini.
E spesso e volentieri, mi ritrovo a essere l’unico spirito femminile in mezzo a una concentrazione indomita di ormoni. Nonostante ciò mi sento a mio agio. Gli uomini mi piacciono, la loro semplicità mi affascina, mi diverte, tanto quanto molte donne mi annoiano.
Contro voglia, devo ammettere che non sono rare le occasioni in cui, osservando alcuni amici, mi chiedo come facciano, a sopportare certe donne che si mettono al fianco. Eppure.
E' innegabile che questi anni di tempo condiviso con il “sesso forte” (parlo degli uomini) mi ha inevitabilmente dato un vantaggio, mettendomi a conoscenza del fatto che, dal punto di vista puramente maschile, sono le donne ad essere semplici, e non il contrario. Talmente semplici che è addirittura possibile identificare alcune categorie di appartenenza. A quanto pare, per esempio, le donne si possono distinguere dalla dimensione della borsa (piccola – ben predisposta, grande – meglio lasciare perdere) e dalla tipologia di scarpe che indossa (con i tacchi – ben predisposta, basse – sicura di sé = puro suicidio). Beh, evito di prendere in esame le “ballerine” perché a questo punto so che dovrei essere volgare…
Ma non è finita. Per le menti maschili più raffinate, esiste un’ulteriore scomposizione della struttura femminile: la donna “essere” (piuttosto facile, basta farle credere di pensarla come lei), quella “avere” (ancora più facile, perché è sufficiente “comprarla”) e quindi la donna “alla pari” (quella che sai che può renderti felice, dove puoi anche avere la tentazione di metterci il cuore, ma poi ti rendi conto che è più facile avere le altre due).
E’ vero, dagli uomini ho imparato che gli uomini sono piatti semplici, che le donne, per natura, condiscono a loro piacimento. 
D’altronde, Darwin ce l’aveva già spiegato tempo fa, e con tanto di prove scientifiche. Certo la storia non è cambiata e, come sostiene il mio recente amico Silvio Lenares, tutt’ora gli uomini “distribuiscono” mentre le donne “selezionano”.
Rimane il fatto che, nel mio caso, il vantaggio della consapevolezza è alquanto disarmante, sopratutto di fronte alla considerazione che per ciò che riguarda la mia “categoria” vivrei in jeans e all star, mi piacciono le borse grandi ma vuote e sono in grado di usare un trapano al pari di un carpentiere.
Nonostante ciò, riconosco un limite al mio essere uomo. 
Certo è innegabile che sono cresciuta e preferisco, in linea di massima e con eccezioni femminili meravigliose, la compagnia degli uomini. 
Però di quelli veri.
Perché da loro ho imparato che le donne parlano e gli uomini agiscono.
In questo momento, i piedi su questa doppia visione di me stessa, penso che sono una donna, forse con un carattere forte al pari di un uomo, ma sempre irrimediabilmente selettiva.
Sono una donna.
E non ho più voglia di cercare di comprendere la fragilità di certi uomini.
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