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13 febbraio 2012 – Cotillo, Fuerteventura – con Abbe.








In questo momento, i piedi tenuti in equilibrio da un abbraccio che mi ha stretta infinite volte, in piedi su questo microcosmo abitato da ironia, penso che la vita è fantastica, e del tutto imprevedibile.
Lo è, come ritrovare qualcuno che ha significato così tanto nella mia vita che il solo sentire pronunciare il suo nome, ieri sera, durante il racconto di un amico di amici durante una grigliata che si è trasformata all’ultimo in una pasta con piselli perché il supermercato era chiuso e ci siamo arrangiati con quello che c’era in casa, ha saziato improvvisamente il mio cuore.
Abbe.
Mi rendo conto che non si è mai preparati abbastanza davanti alla sorpresa di rivedere una persona che è lo specchio di ciò che siamo stati e poi diventati, soprattutto se nel trascurare i segni del tempo che possiamo vedere, riconosciamo una parte immutabile, riflessa in noi.
E così, per caso, su quest’isola dove lo sguardo alterna dune di sabbia, frammenti di lava a onde oceaniche e tavole da surf, ritrovo lo sguardo del passato, infinito nella sua impossibilità di districarsi dai miei ricordi.
Ritrovo gli anni assolati delle estati a Vieste, le sere sugli scogli a parlare e suonare, le notti stellate sopra di noi, senza sperare e senza cadere, mai, perché non poteva esistere desiderio più grande dell’amore di due amici.
In questo momento, tenuta in equilibrio da questo abbraccio che mi ha stretta infinite volte, ritrovo un amore che mi ricorda chi voglio essere.
Grazie Abbe.
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