57.

20 gennaio 2012 – U BARBA, Milano – con Ica Montaguti, Fugen Keracerci, Andreino e Giacomo Godi.











In questo momento, scrivo, di quello che è stato.

Faccio un passo indietro, nel passato, per recuperare la consapevolezza che nel momento esatto in cui ho fermato l’immagine di quei passi - condivisi con un gruppo di amici sulla sabbia di una bocciofila irradiata di luce e delimitata da una fila di ulivi annodati dagli anni, nel dehor di un ristorante di Milano -, ho iniziato a capire qualcosa che vale la pena ricordare. 
Anche adesso. 
Vale la pena tenere a mente che quello che è stato riguarda un passo complicato, dove ho puntato i piedi per rimanere in equilibrio, mentre i miei pensieri si libravano in voli pindarici.
In questo momento, mentre scrivo, so che in quel momento ero in cerca di equilibrio.
Avevo bisogno di risposte, che non riuscivo a bilanciare dentro di me.
E così sono uscita, incurante del fatto che quando chiedi, ti viene dato.
Distratta e felice di ritrovarmi in macchina con Ica per raggiungere il ristorante, felice di passare un po’ di tempo con lei, e poi seduta a un lungo tavolo di legno, mangiando genovese e ridendo, di gusto, di nuovo distratta e felice di cenare con amici che non vedevo da tempo, mentre ascolto Fugen parlarmi del potere del pensiero e dell’importanza del qui, ora.
E io, seduta lì, che provo a rimanere presente, un attimo prima che un pensiero mi porti altrove.
Presente, a godere del momento, del cibo, del vino, della compagnia di amici. 
Del sentire, di poter ringraziare.
Per l’amore che sento.
Per un attimo di presente.
E poi, quasi senza accorgermene, mentre le parole si affievoliscono in suoni, mentre sfuma il sapore del vino e del cibo, mi riscopro nuovamente altrove. 
In un attimo.
Seduta lì, ho capito che non è per niente semplice rimanere concentrati sul presente. Non lo è affatto, anche quando pensiamo di esserne capaci.
In passato mi è sembrato quasi banale, istintivo, solo perché riuscivo a gioire di uno stato di benessere e non volevo lasciarlo andare. 
Lo ancoravo ai pensieri, alla memoria, come una risorsa di energia positiva da tenere a portata di mente, alla quale attingere nei momenti di necessità.
Ma stasera avevo bisogno di risposte, non di un’energia di scorta.
Perciò sono tornata presente, concentrata su di lei, mentre mi parlava di uno stato dell’essere, di un amore universale.
Che si basta.
E d’istinto ho provato ammirazione per questa donna che ha gli occhi in pace e l’ispirazione necessaria per provare a descrivermi qualcosa che è, per sua natura, indescrivibile.
Tanto che ho provato a immaginare (di più non mi è possibile), uno stato della mente così illuminato e grato da trovare il senso di tutto dentro di sé e poterlo donare al mondo, in modo incondizionato. 
A tutte le persone che sentono dentro di sé questo genere di amore va tutta la mia ammirazione, ma sebbene possa accettarne l’esistenza, il fine e l’effetto, ho capito che non è uno stato al quale m'interessa aspirare. 
Almeno non adesso.
Per il momento, per ciò che riguarda il mio presente, voglio sentire ancora di aver bisogno degli altri.
Mi piace pensare che attraverso il contatto con le altre persone possiamo evolvere, e trovare le risposte che ci mancano.
Gli altri, quelli che entrano nel nostro cuore per condividere amore e quelli che ci passano attraverso per poi uscirne, dandoci l’occasione d’imparare a fare un passo.
In questo momento, voglio trattenere l’immagine di quei passi - condivisi con un gruppo di amici sulla sabbia di una bocciofila irradiata di luce e delimitata da una fila di ulivi annodati dagli anni -, perché so che in quel momento ho trovato le risposte che cercavo.
Ho capito che vivere nel presente è fondamentale, ma più difficile di quello che sembra, e che l’amore che sento è seme e frutto di un albero che può nascere solo nello spazio che scegliamo di condividere. Che è lo spazio tra noi.
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